Iraq: siete tutti fratelli
YOU ARE ALL BROTHERS
HÛN HEMÛ BIRÊN IN
هەمووتان براین
أنتم جميعًا إخوة
SIETE TUTTI FRATELLI è un progetto che nasce da un reportage nella Regione del Kurdistan nei giorni della visita di Papa Francesco e che, attraverso un filmato e una mostra fotografica, vuole ragionare sulle cause che per decenni hanno portato terribili sofferenze a un intero popolo.
Il 6 agosto del 2014 le milizie dell’autoproclamato Stato Islamico invasero la Piana di Ninive costringendo a fuggire in una sola notte 120 mila persone. La cattedrale di Qaraqosh fu profanata e bruciata, le statue decapitate, i libri sacri buttati al rogo nel cortile e il coro usato come poligono da tiro.
Nulla si salvò dalla furia dell’IS: cristiani, yazidi, turcomanni e persino musulmani furono uccisi o costretti alla fuga.
Tuttavia l’esodo di profughi iniziò ben prima dell’autoproclamazione dello Stato Islamico nel 2014: prima della seconda invasione americana (Iraqi Freedom, 2003) i soli cristiani iracheni erano un milione e mezzo. Oggi sono meno di 300 mila.
Il 22 settembre 1980 Saddam Hussein attaccò di sorpresa l’Iran. Nella guerra risultante, terminata nell’agosto del 1988, l’Iraq venne sostenuto dai blocchi occidentale, sovietico e arabo. L’Iran venne sostenuto invece da Israele (operazione Seashell) e, segretamente, dagli stessi USA (per finanziare in nero i Contras anti-sandinisti, scandalo Irangate). Nel complesso il conflitto causò la morte di oltre un milione di persone e la fuga di altrettanti profughi.
Nel corso del conflitto 5 mila villaggi e decine di città curde furono rase al suolo dal regime Baathista nella campagna al-Anfal condotta da Saddam Hussein per cancellare i curdi dal proprio territorio. Duecentomila curdi furono uccisi e un milione e mezzo cercarono riparo in Iran e Turchia o furono deportati.
Tra gli episodi più terribili vi furono gli attacchi con armi chimiche di Halabja del 16 e 17 marzo 1988, durante il quale morirono 12 mila civili, seguiti dalla distruzione chimica della regione del Badinan.
Le armi chimiche utilizzate erano state prodotte dagli USA, assemblate in Europa e vendute da Italia, Francia e Belgio. Parte di quelle armi fu ritrovata nei pressi di Baghdad e usata dall’IS contro i civili curdi a Kobane, in Siria nel 2014, e a Gwer e Maxmur in Iraq nel 2015.
Il 2 agosto 1990 l’esercito iracheno invase il Kuwait. Il 17 gennaio 1991 una vasta coalizione capeggiata dagli USA e supportata dalla risoluzione 678 del Consiglio di Sicurezza ONU iniziò le operazioni belliche per liberare il Kuwait, terminate il 28 febbraio.
Nonostante il mandato ONU non autorizzasse esplicitamente l’attacco nel territorio iracheno i molteplici bombardamenti su Baghdad causarono fino a 100 mila morti civili. L’uso di uranio impoverito nelle munizioni causò gravi problemi di salute alla popolazione e ai soldati angloamericani, i cui figli presenteranno difetti congeniti mai riscontrati prima di allora.
Nel dopoguerra l’instaurazione della no-fly-zone a nord dell’Iraq portò alla formazione della Regione Autonoma del Kurdistan, mentre a sud le sanzioni economiche imposte al regime di Saddam Hussein (definite «genocide» da alcuni rappresentanti ONU) strangolarono la popolazione irachena: in un territorio privato di energia elettrica, depurazione delle acque e strutture fognarie dai feroci bombardamenti occidentali la mortalità infantile era triplicata, le epidemie di tifo e colera erano abituali e i livelli di alfabetizzazione crollarono.
A poco servì il programma oil-for-food delle Nazioni Unite: uno schema corruttivo tra alcuni funzionari ONU e il governo iracheno generò 10 miliardi di dollari in proventi illeciti e portò all’incriminazione di diversi dirigenti di USA, UK e Francia.
Il 28 febbraio 1991 nacque l'associazione “Un ponte per Baghdad” (oggi “Un ponte per”) che il 4 dicembre 1992 organizzò il grande concerto di Franco Battiato nel Teatro Nazionale Iracheno di Baghdad a sostegno dell'ospedale di Bassora.
Complessivamente la prima guerra del Golfo e le sue conseguenze produssero 1.500.000 profughi.
Dal 20 marzo 2003 al dicembre 2011 l’Iraq fu nuovamente invaso da una coalizione guidata dagli USA, questa volta con l'opposizione di Francia, Germania, Russia e Cina.
Le ragioni dell’attacco addotte da Dick Cheney (USA) e Tony Blair (UK) erano costituite principalmente da prove che l’Iraq stava costituendo un arsenale di armi di distruzione di massa e che vi era un legame tra Iraq e al-Qaida, prove costruite manipolando le informazioni da parte dei servizi d’intelligence rivelatesi successivamente infondate e dichiarate apertamente “un pretesto per attaccare” da Paul Wolfowitz, ideatore della dottrina della guerra preventiva adottata da Bush Jr.
Le truppe della coalizione si macchiarono di orribili delitti, tra i quali le torture e gli omicidi nelle prigioni di Bagram e Abu Ghraib, la campagna di Falluja, la strage di Haditha e l'assassinio di civili (tra i quali 2 giornalisti dell'agenzia Reuters) in un attacco aereo reso pubblico nel video “Collateral Murder” dall'organizzazione WikiLeaks del giornalista Julian Assange.
L’invasione portò complessivamente a circa 600 mila morti civili, 5 milioni di sfollati, la disgregazione dello Stato e dell’esercito iracheni, lo scatenarsi della guerra civile e, da ultimo, la creazione delle condizioni per la costituzione dell'autoproclamato Stato Islamico.
In seguito all’invasione dell’Iraq l’offensiva contro le forze della coalizione da parte di gruppi ribelli salafiti crebbe fino a quando, nel 2006, diverse fusioni tra queste fazioni costituirono lo Stato Islamico dell’Iraq. La violenza degli attacchi del gruppo contro i civili portò però alla perdita di sostegno della popolazione.
A partire dal 2012, il neo-comandante Abu Bakr al-Baghdadi affidò diversi incarichi agli ex-ufficiali dei servizi segreti di Saddam Hussein delusi dal ridimensionamento del potere della minoranza sunnita in Iraq. Al-Baghdadi iniziò a reclutare decine di migliaia di miliziani dell’esercito siriano libero e il 29 giugno 2014 proclamò la restaurazione del califfato con capitale Mosul in un vasto territorio tra Siria e Iraq.
Centinaia di migliaia tra cristiani, yazidi, turcomanni e musulmani furono costretti alla fuga verso la Regione Autonoma del Kurdistan. Decine di migliaia di persone morirono durante il cammino o vennero trucidate sul posto.
Contro il sedicente Stato Islamico combatterono unità di PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan turco), YPG (Unità di Protezione Popolare del Kurdistan siriano), YPJ (Unità di Protezione delle Donne del Kurdistan siriano), USA, Peshmerga (esercito del Kurdistan iracheno), milizie yazide, filo-iraniane ed esercito iracheno. Le forze irachene ripresero il controllo di Mosul il 9 luglio 2017 e di tutto il territorio iracheno il 9 dicembre. Gli sfollati superarono i 6 milioni.
Decenni di dittature, invasioni e guerre civili hanno reso l’Iraq uno dei Paesi con il maggior numero di profughi al mondo. In aggiunta, recentemente, il governo iracheno ha deciso di chiudere tutti i campi, costringendo gli sfollati interni a tornare nelle loro terre spesso rase al suolo dall’IS. Il Governo Regionale del Kurdistan ha però mantenuto aperte tutte le strutture di accoglienza che, al momento, ospitano 130 mila sfollati e 100 mila rifugiati, per la maggior parte siriani.
Il Governo di Erdogan continua a compiere attacchi aerei addentrandosi per centinaia di chilometri nella Regione Autonoma del Kurdistan e colpendo zone già attaccate dall’IS come Shengal, aree di confine come i monti Zagros o il governatorato di Sulaymaniyah e campi profughi come Maxmur, nel quale vivono ancora 15 mila rifugiati curdi fuggiti dalla persecuzione turca degli anni ’90.
A tutto ciò bisogna aggiungere i danni prodotti dalla crisi climatica: migliaia di persone che ogni anno devono lasciare la propria terra a causa delle piogge torrenziali al nord dell'Iraq e della riduzione di terre coltivabili a sud. Il completo controllo delle risorse idriche (Tigri ed Eufrate) da parte della Turchia come arma di ricatto ha, dal 2019, più che dimezzato l'acqua che si riversa in Siria e Iraq.
La mostra si è tenuta nei giorni 21-23 ottobre 2021 durante la 3ª EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA NONVIOLENZA presso il Centro Studi Sereno Regis di Torino.
Si ringraziano: il Centro Studi Sereno Regis di Torino, i compagni di viaggio Adriana Fara e Stefano Stranges, la giornalista Laura Schrader e le organizzazioni FOCSIV e International Help per il supporto logistico.